Nardò 10Apr:_Un periodico “indipendente” con un blasone altisonante “LA VOCE”, si sofferma, con uno “strepitus calami”del suo direttore responsabile, su quella che, a distanza di trentatre anni, resta ancora una pagina oscura, triste e divisiva della storia della nostra comunità. In questo tempo, sia chiaro, a proposito del delitto Fonte, c’è stato sempre <<qualcuno che la sa più lunga di qualcun altro>> e la verità quella storica, processuale e sostanziale troppe volte sembra tramutarsi più che in un fine da conseguire, in un feticcio, che assume le forme delle mani che di volta in volta lo lavorano.

ìSi cristallizza, così,l’inversione della sequela Machiavellica classica: il fine  giustifica i mezzi, in un più coerente, (per loro altri) oltre che pratico, i mezzi giustificano i fini. L’obiettivo dissimulato (male) è quello di semplificare e ridurre ai minimi termini qualcosa di molto complesso, che è accaduto nella storia di Nardò e, che dovrebbe interrogare tutti su fatti e misfatti, che hanno riguardato, la vita politica, sociale ed economica di quei tempi e, che, per certi versi , hanno condizionato la storia della nostra comunità sino ai nostri giorni.

Non sarò certo originale in questo, ma, davvero, mi piacerebbe conoscere il punto di vista di Renata, suo malgrado, soggetto protagonista della storia; che da vittima, troppo spesso in questi anni, si è trasformata in Colpevole; almeno a leggere tra i troppi se e ma e i troppi distinguo ed osservazioni dal retrogusto nomofilattico di ermeneuti fin troppo raffinati e pensatori ancorati ad un autoreferenziale equilibrio vocato all’amnesia. Ecco perché, sarebbe davvero interessante raccogliere il punto di vista della Bara, ovvero, o meglio, dalla Bara, sempre che le “paratie legnose” abbiano retto al continuo rivoltarsi dell’illustre ospite, in guisa delle troppe “cose dette” da taluni e, anche, mi sia consentito, “non dette” da molti, in questi anni.

Dai tre gradi del processo emerge chiaramente una correlazione tra l’omicidio Fonte e la tutela del paesaggio e l’ambiente dell’area di Porto Selvaggio. La Cassazione, in particolare, approfondisce quanto è accaduto dopo la legge istitutiva del Parco di Porto Selvaggio, precedente di ben 4 anni, dove i pertugi di normative in materia ambientale e paesaggistiche allora, come in parte oggi, non chiare e spesso contraddittorie tra loro e  prassi amministrative favorite da una burocrazia, quando pigra e quando troppo solerte rispetto ad interessi speculativi e di certo asservita alla dirigenza politica, vedevano in Renata una voce fuori dal coro, un pericolo a progetti e mire criminali.

Questa è la verità processuale, che a distanza di molti anni, previa una rilettura sociologica e giuridica degli avvenimenti di allora, ha portato la Commissione del Dipartimento Affari Civili del Ministero dell’ Interno a riconoscere il carattere di vittima di criminalità mafiosa a Renata, anche qui le speculazioni semantiche appaiono un esercizio retorico fine a se stesso smentito dall’ufficialità di atti e da studi autorevoli che, evidentemente, non semplificano ciò che semplice non è.

Ecco che: parlare <<di mistificazioni, di simulacro e di strumentalizzazione mitologica di Renata>> e, soprattutto, criticare il lavoro pedagogico fatto nei giorni di marzo dalle scuole neretine, da Libera e dal Comune, assume il suono più che di una <<voce stonata>> e per questo fuori dal coro di un <<peto dal cul fuggito>>, che rischia di essere ricordato per il cattivo odore oltre che per lo sgradevole rumore.

Non fa mai male ricordare i classici, che aiutano a interpretare la realtà ecco che sovviene Platone, (Teeteto, 174 a.c.) << [Talete], mentre studiava gli astri e guardava in alto, cadde in un pozzo. Una graziosa e intelligente servetta trace lo prese in giro, dicendogli che si preoccupava tanto di conoscere le cose che stanno in cielo, ma non vedeva quelle gli stavano davanti, tra i piedi. La stessa ironia è riservata a chi passa il tempo a filosofare […] provoca il riso non solo delle schiave di Tracia, ma anche del resto della gente, cadendo, per inesperienza, nei pozzi e in ogni difficoltà ».

                                                                               Vincenzo Candido Renna