C’è sempre un po’ di tatto emotivo, quasi un infantile timore nel percorrere i viali della mente. Un sentimento nel quale si confondono curiosità e ritrosia, desiderio e atarassia. Basta essere sfiorati per un solo istante da un pensiero, da un ricordo, da uno sguardo, da uno scorcio inaspettato e la nostra mente si ritrova a produrre cortometraggi neurali. La vita quotidiana che conduciamo (un momento: siamo noi a condurre la vita o è la vita che conduce noi?) apre costantemente una finestra sulla realtà, creando in tal modo una sorta di prospettiva privilegiata sugli eventi dalla quale sarebbe impossibile (e irrazionale) esimersi.

Talvolta è solo un minuscolo buco della serratura nel quale solo gli animi più curiosi osano spiare timidamente, talaltra è un bel panorama verdeggiante e immenso ma gli occhi dell’animo sono dormienti, assopiti in un oblio caldo e confortevole: in una sola parola, comodo.

 

Lasciar scorrere gli eventi, vivere in una malferma e vacillante imperturbabilità travestita da noncuranza è l’ingresso per l’annichilimento dell’essere. Di contro, stupirsi, indignarsi, confrontarsi, animarsi: sono propulsori, sono micce in grado di innescare falò intellettivi.

Che cosa saremmo se camminassimo sordi e bendati fra le mille contingenze che offre la vita? Lasciamo che la realtà, lo scorrere del tempo entrino dirompenti nelle nostre esistenze; lasciamo che qualche misterioso vento mischi le carte in gioco. Apriamo gli occhi e muoviamoci desiderosi di incantarci, di appagare l’animo. Tutto attorno a noi esprime qualcosa e tenta di comunicarlo in maniera velata, tacita.

Questa Città evoca memorie dal passato e sprigiona energie per il futuro uniche. Questo mare ci sussurra di popoli che hanno solcato onde e intemperie alla ricerca di nuovi spazi e di infiniti orizzonti.

Noi siamo qui, nel nostro tempo, a plasmare il nostro presente, a renderlo realmente vivo e ricco, perennemente in movimento: scenografia perfetta per il cortometraggio perfetto.